Responsabilità medica: quando il medico risponde per la morte (o le lesioni) del paziente

E’ noto che la materia della c.d. “colpa medica” – o meglio della responsabilità per i danni conseguenti all’esercizio negligente dell’attività medica (specie chirurgica) – abbia subito l’ennesima evoluzione dopo le recenti riforme, ed in particolare a seguito della legge 9 marzo 2017, n. 24, la c.d. legge “Gelli-Bianco” (recante “disposizioni in materia di sicurezza delle cure e della persona assistita, nonché in materia di responsabilità professionale degli esercenti le professioni sanitarie”).

La giurisprudenza che ne ha fatto applicazione ha isolato 4 casi in cui l’esercente la professione sanitaria risponde, a titolo di colpa, per morte o lesioni personali derivanti dall’esercizio dell’attività medico-chirurgica:

  1. l’evento si è verificato per colpa (anche lieve) derivante da negligenza o imprudenza;
  2. l’evento si è determinato per colpa (anche lieve) da imperizia, quando il caso concreto non è regolato dalle raccomandazioni delle linee-guida o dalle buone pratiche clinico-assistenziali;
  3. l’evento si è verificato per colpa (anche lieve) da imperizia nella individuazione e nella scelta delle linee-guida o delle buone pratiche clinico-assistenziali, rivelandosi l’opzione del medico non adeguata al caso concreto;
  4. l’evento si è determinato per colpa grave da imperizia nell’esecuzione di raccomandazioni, di linee-guida o buone pratiche clinico-assistenziali adeguate, tenendo conto del grado di rischio da gestire e delle speciali difficoltà dell’atto medico (e dunque, in questo caso, l’opzione era corretta, ma le raccomandazioni o le pratiche sono state attuate assai malamente).

Va esclusa la responsabilità del sanitario, invece, nel caso in cui questo, dopo aver ben scelto le raccomandazioni o le pratiche adeguate al caso concreto, le attui in modo imperito o negligente, ma tale imperizia o negligenza debba ritenersi lieve. In altri termini, se il medico segue le linee-guida corrette, ma incorre in colpa lieve da imperizia, non risponde dei danni occorsi (neppure in caso di morte del paziente) e va mandato assolto.

E’ quanto ha stabilito la Cassazione, applicando la causa di non punibilità introdotta all’art. 590-sexies c.p. proprio dalla legge n. 24/2017, con la recentissima Cass, Sez. Un. Pen., 22 febbraio 2018, n. 8770.

In tale pronuncia, in particolare, si è ribadito che la suddetta causa di non punibilità non riguarda il momento della scelta delle linee-guida o delle raccomandazioni da applicare (se previste) al caso concreto – se l’errore giunge a tal punto, infatti, si avrà responsabilità -, ma il momento successivo, della attuazione di quelle linee-guida e di quelle raccomandazioni che il medico abbia (correttamente) deciso di applicare al caso concreto. In questa seconda fase, la punibilità in caso di errore può essere esclusa, ma solo nelle ipotesi in cui risulti che lo scostamento da quei criteri sia stato marginale o comunque dovuto a colpa lieve.

 

colpa medica Firenze

 

 

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